La vita interiore ci rivela i nostri limiti e le nostre negatività. È ricerca di luce ed esperienza di illuminazione, ma dove la luce splende nel fondo delle tenebre. È necessario toccare questo fondo buio di sé per conoscere la luce. Uno splendido racconto mistico musulmano (di Suhrawardî), in forma di dialogo, dice:
– O sapiente, dove si trova la fonte della vita?
– Nelle tenebre. Se vuoi partire alla ricerca di questa fonte, mettiti i sandali e avanza nel cammino dell’abbandono confidente, finché arriverai alla regione delle tenebre.
– Da che parte si trova il sentiero per questa regione?
– Da qualunque parte tu vada, se sei un vero pellegrino, tu compirai il viaggio.
– Che cosa segnala la regione delle tenebre?
– L’oscurità di cui si prende coscienza. Quando colui che intraprende questo cammino vede se stesso come uno che è nelle tenebre, allora comprende che egli era anche prima e fino allora nella Notte, e che la luce del Giorno non ha ancora raggiunto il suo sguardo. Ec-colo, il primo passo dei veri pellegrini. Il cercatore della fonte della vita nelle tenebre passa attraverso ogni sorta di stupori e angosce. Ma se è degno di trovare questa fonte, finalmente dopo le tenebre contemplerà la luce. Allora non dovrà fuggire davanti alla luce, perché questa luce è uno splendore che, dall’alto dei cieli scende sulla fonte della luce (Cf. H. Corbin, «L’Archange empourpré: récit mystique de Sohrawardî», in Hermès 1 (1963), p. 21).
È la luce della notte, delle tenebre, è la vita trovata là dove muore qualcosa, è il cammino della vita interiore, il descensus ad cor che porta a vedere le proprie tenebre, ad accettare le proprie limitatezze e a integrarle in un’esperienza di pacificazione e di unificazione.
Chi vede la propria ignoranza e la conosce può entrare nella vera sapienza; chi vede i limiti della propria mortalità e temporalità può entrare nella vita; chi vede i propri limiti affettivi può entrare nell’autenticità dell’amore. Chi non accetta di vedere i propri limiti non potrà neppure iniziare a superarli o meglio, forse, a traversarli. Allora, questa illuminazione che viene dalla conoscenza delle proprie tenebre appare chiaramente come esperienza di resurrezione: se toccare il fondo del proprio cuore è esperienza di morte, la luce che si intravede è ingresso in una nuova vita. Allora si disvela l’uomo interiore (2Cor 4,16; Rm 7,22; Ef 3,16 e 1Pt 3,4 che parla dell’«uomo nascosto del cuore» là dove la Bibbia CEI traduce «l’in-terno del vostro cuore»), ovverosia una vita interiore che dà forza, unificazione pace, serenità, anche nel declinare delle forze e nell’andare verso la morte. Si sia credenti o no, se questa vita interiore è presente, forse si potrà fare della morte un compimento, non una fine. E si potrà dare vita alla propria vita.
(Luciano MANICARDI, La vita interiore oggi. Emergenza di un tema e sue ambiguità, Magnano, Qiqajon, 1999, 25-26).