Gesù suscita la perplessità dei presenti, perché sta affermando che la salvezza viene dal dono di sé di un uomo normale, di un uomo debole e fragile. Per i presenti questo è intollerabile, anzi è un sacrilegio. I presenti rifiutano l’Incarnazione come presenza di un Dio che si fa umano e rifiutano la Croce come evento Pasquale di salvezza. Per loro il segno che rimanda alla Parola che salva è la manna, che Dio donò nel deserto (cf. Gv 6,49.58).
Invece i progetti di Dio non si omologano ai pensieri degli umani. Nei progetti di Dio, la Parola rimane sempre la Parola che salva, ma ora avviene una svolta dalla quale non si ritorna indietro: questa Parola che in Gesù si è fatta umanità e che nel Corpo-carne-sangue di Gesù si fa pane vivente che dona al mondo la vita, questa stessa Parola apre al mondo la salvezza, cioè la possibilità concreta di vivere le relazioni umane nella prospettiva della comunione, della condivisione, della fraternità-sororità. Per dirla con altre parole: il Cristo, pane vivente, sazia la nostra fame di comunione, di condivisione, di solidarietà. L’unica condizione che Gesù pone è quella di ascoltare con cura la sua Parola, di sedersi con rispetto alla sua tavola, di accogliere questo pane come un dono e di mangiarlo, vale a dire di assimilare, di “metabolizzare” lo stile di vita di questo pane che, attraverso l’azione dello Spirito Santo, è stato trasformato sacramentalmente nel Corpo di Gesù.