(…)
Per essere un buon danzatore, con Te come con tutti,
non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
essere gioioso,
essere leggero,
e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
sui passi che ti piace fare.
Bisogna essere come un prolungamento,
vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l’orchestra
scandisce.
(…)
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica;
dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
che la tua Santa Volontà
è di una inconcepibile fantasia,
e che non c’è monotonia e noia
se non per le anime vecchie,
che fanno tappezzeria
nel ballo gioioso del tuo amore.
Signore, vieni a invitarci.
(…)
Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremo
che sono tristi;
se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
che sono logoranti.
E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere;
sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.
Signore, insegnaci il posto
che tiene, nel romanzo eterno
avviato fra te e noi,
il ballo singolare della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni;
in essa quel che tu permetti
da suoni strani
nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un vestito da ballo che ci farà amare da te,
tutti i suoi dettagli
come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come un match dove tutto è difficile,
non come un teorema rompicapo,
ma come una festa senza fine
in cui l’incontro con te si rinnova,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della tua grazia,
nella musica universale dell’amore.
Signore, vieni a invitarci.
(Madeleine DELBRÉL, La danza dell’obbedienza, in Noi delle strade, Torino, Gribaudi, 1988, 86-89).