«Va bene, allora,» disse Simmia. «Comincerò io a dirti i miei dubbi e Cebete, poi, ti dirà quello che non approva di quanto è stato detto. Mi sembra, Socrate, e forse sarai anche tu del mio parere, che essere così sicuri su certe questioni, sia una cosa impossibile o, per lo meno, molto difficile, almeno in questa vita; d’altronde, io penso che il non esaminare da un punto di vista critico le cose che si son dette, il lasciar perdere il problema, prima di averlo indagato sotto ogni aspetto, sia proprio dell’uomo dappoco; quindi, in casi simili, non c’è altro da fare: o imparare da altri, come stanno le cose, o trovare da sé, oppure, se questo è impossibile, accettare l’opinione degli uomini, la migliore s’intende, e la meno confutabile e con essa, come su di una zattera, varcare a proprio rischio il gran mare dell’esistenza, a meno che uno non abbia la possibilità di far la traversata con più sicurezza e con minor rischio su una barca più solida, cioè con l’aiuto di una rivelazione divina. Ecco perché io, ora, non mi faccio scrupolo di interrogarti, dal momento che anche tu insisti e d’altra parte non voglio che, un domani, io debba rammaricarmi di non averti detto quello che oggi penso. Infatti, Socrate, ripensando tra me e poi anche con Cebete, alle questioni discusse, non mi sembra che siano molto chiare».
(Socrate, Fedone, XXXVII)