Stimolante la confessione laica da parte dello scrittore Teju Cole, ospite al Festival la Milenesiana. E’ la testimonianza di un cristiano protestante che si è lasciato scivolare nell’agnosticismo scettico. E’ caduto nel dubbio, come tanti. Ma come non perdere la fede? Come può maturare da divenire certezza?
Guardiamo l’esperienza dello scrittore: tutto è iniziato quando si è interrogato se «la Bibbia era davvero l’unica verità dell’esistenza?». Si è accorto che poteva rispondere solo assumendo per vero quello che diceva la stessa Bibbia. Già qui c’è il sintomo di una debolezza, di un errore: un uomo solo, con la sua Bibbia. Ma nel cristianesimo, la Verità non è la Bibbia, ma una Persona: “Io sono la via, la verità e la vita”. E la Verità non la si possiede, la si incontra. Il cristianesimo (quello cattolico, in particolare) non è una religione del Libro e senza l’esperienza personale di incontro con Cristo, la fede non può reggersi solo su delle pagine scritte, seppur divinamente inspirate. Avrebbe dovuto essere lui stesso, Teju Cole, a saper rendere ragione su ciò che dell’esistenza è il Vero, non scaricando la responsabilità sui testi sacri.
Così, continua la “confessione”, «un mattino, a ventisette anni, mi svegliai e scoprii di aver perso la fede». Destino inevitabile quando manca quella certezza della fede che matura non in solitari pensieri teologici, ma convivendo laddove Gesù Cristo è rimasto presente nella storia: la compagnia cristiana di coloro che Lui ha chiamato, cioè la Chiesa (la propria parrocchia, il sacerdote, i volti della comunità cristiana laddove si gioca concretamente la vita di ognuno). La fede cristiana, per sua natura, nasce e matura in un rapporto umano con un altro che è testimone dell’Altro, con la maiuscola: Cristo testimone agli apostoli del Padre e gli apostoli, assieme ai loro successori, testimoni di Cristo. Benedetto XVI ci ha donato parole insuperabili: «La fede non è un prodotto della riflessione e neppure un cercare di penetrare nelle profondità del mio essere. Entrambe le cose possono essere presenti, ma esse restano insufficienti senza l’ascolto mediante il quale Dio dal di fuori, a partire da una storia da Lui stesso creata, mi interpella. Perché io possa credere ho bisogno di testimoni che hanno incontrato Dio e me lo rendono accessibile. La Chiesa non si è fatta da sé, essa è stata creata da Dio e viene continuamente formata da Lui».
La risposta al dubbio, dunque, è l’appartenenza attiva, consapevole, ragionevole e gioiosa al popolo cristiano: questo è l’antidoto ad una fede sentimentale ed emozionale, in balia del dubbio e della secolarizzazione. Proprio i Vangeli lo insegnano: essi «descrivono il percorso degli apostoli: “e i suoi discepoli credettero in lui” si ripete molte volte, la conoscenza diventa persuasione, passo dopo passo», ha scritto il teologo spagnolo José M. García. «Il credere diventa convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare uno spazio e un tempo perché avvengano. Solo la fedeltà, la convivenza e la familiarità fa entrare sempre più radicalmente in noi la certezza» (J.M. Garcia, Il protagonista della storia, BUR 2008, p. 122). E’ dunque normale che lo scrittore afro-americano si dica “sollevato” dopo essersi scoperto lontano da quella fede così intimista: se l’io non è coinvolto nel mistero della compagnia cristiana, il cristianesimo si riduce ad una serie di dogmi morali incomprensibili, basato su spinte emotive. Lo ammette lo stesso Teju Cole: «la mia fede cristiana era senza dubbio emotiva». Mons. Luigi Negri ha invece scritto: «il Cristianesimo non è una dottrina, ma una realtà storica, un gruppo di uomini che afferma di essere il luogo dove l’evento definitivo di Cristo continua ad essere presente e a influire sulla storia. Continua attraverso l’unità dei cristiani» (L. Negri, False accuse alla Chiesa, Brossura 2016, p. 17).
La nuova vita che lo scrittore racconta è priva di «senso della certezza, trovai quello del dubbio», circondato da attività e interessi che «potevano darmi compagnia e conforto»». «Non siamo sicuri. Abbiamo perso la fede e la testa», conclude. Per non perdere “la fede e la testa” occorre vivere fisicamente laddove «Gesù è entrato per sempre nella storia umana e vi continua a vivere con la sua bellezza e potenza», spiega ancora Papa Ratzinger. Ovvero, «quel corpo fragile e sempre bisognoso di purificazione, ma anche infinitamente ricolmo dell’amore divino, che è la Chiesa. È questo il motivo che rende la Chiesa contemporanea di ogni uomo, capace di abbracciare tutti gli uomini e tutte le epoche perché guidata dallo Spirito Santo al fine di continuare l’opera di Gesù nella storia».