La risposta di Dio Padre all’amore del Figlio

La Risurrezione di Gesù è la risposta di Dio Padre all’amore del Figlio per i perduti e gli scartati della storia. Questo è attestato in tutte le S. Scritture. Ecco perché Pietro, dopo la Pentecoste, può testimoniare che Dio ha risuscitato Gesù, non abbandonandolo, lui il Giusto, nei legami della morte (si legga la prima lettura di questa domenica: At 2,22-33). È Gesù il Giusto per eccellenza, il quale è morto per aprire un cammino di speranza agli ingiusti (non ai più bravi o ai più meritevoli… ) e così farli diventare giusti, se liberamente accolgono la sua consegna. Sì, è nella debolezza della Croce che si manifesta la “potenza in opere e parole” di Gesù, l’uomo Giusto.

Gesù in croce

Al momento dell’arresto, Gesù salva i suoi discepoli affinché non si perdano (cf. Gv 18,9).
– Durante l’interrogatorio del sommo sacerdote Anna e di Caifa, Pietro rinnega Gesù, mentre si riscaldava attorno al fuoco che era stato acceso dai servi e dalle guardie durante l’interrogatorio di Gesù. Non sarà che quel fuoco – quasi come una piccola presenza “sacramentale” – evochi discretamente l’amore appassionato del Signore? Così nel Cantico dei Cantici: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina!» (Ct 8,6).
– Durante l’interrogatorio, Pilato presenta ai capi dei sacerdoti e alle guardie Gesù con la corona di spine e il mantello di porpora, dicendo: «Ecco l’uomo!» (Gv 19,5). Alla fine dell’interrogatorio lo presenta ai Giudei, dicendo: «Ecco il vostro re!» (Gv 19,14). Le due espressioni sono correlate: nell’umanità di Gesù si manifesta la sua autentica regalità, per nulla assimilabile alla regalità dei re e dei governatori di questo mondo (cf. Gv 18,36-37), perché la sua regalità è al servizio della testimonianza della verità, vale a dire, della rivelazione e manifestazione concreta della fedeltà di Dio e del suo amore per l’umanità. È questa la verità che ci spoglia da ogni forma di idolatria del potere e ci rende veramente liberi in questo mondo (cf. Gv 8,32).
– Nel momento in cui muore, Gesù consegna lo Spirito (cf. Gv 19,30), come compimento della missione che il Padre gli ha affidato. È lo Spirito del Padre che lo ha sostenuto nel cammino della vita. È lo Spirito Amore, il Paràclito, che ha ispirato le sue scelte e le sue azione, che lo ha aiutato a discernere la volontà e i comandamenti del Padre, a discernere la sincerità dalla menzogna.
Questo stesso Spirito oggi viene consegnato e infuso dentro di noi, come “Paràclito”, come “colui che è chiamato a stare accanto a noi” a difenderci e a sostenerci nel cammino della nostra vita, anche nei giorni più difficili della nostra esistenza, come quelli che stiamo vivendo in questi mesi.

Agonia di Gesù

L’angoscia era tale, che gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra (Lc 22, 43-44). La preghiera di Cristo contrasta con il comportamento degli Apostoli: rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro:
– Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione (Lc 22, 45-46).
Tre volte Gesù tornò vicino a quelli che lo accompagnavano, e tutte e tre le volte li trovò addormentati, finché fu ormai troppo tardi: – Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino.
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni (Mc 14, 41-43). Con un bacio tradì il Signore, che fu arrestato mentre i discepoli lo abbandonavano e fuggivano.

«La vostra luce brilli»

Che cosa ci comandi quindi? Di vivere, facendo sfoggio delle nostre buone opere e cercandogli onori? Assolutamente no; io non dico nulla del genere. Infatti, non ho detto: «Cercate di mostrare le vostre opere buone». E non ho detto neppure: «Fatene sfoggio», ma ho detto «la vostra luce brilli», cioè: la vostra virtù sia eminente, la vostra fiamma calda, la vostra luce splendente. Infatti, quando raggiunge questo livello, la virtù non può restare nascosta, anche se colui che la possiede facesse di tutto per mantenerla in ombra. Tenete quindi davanti a loro una condotta irreprensibile ed essi non avranno alcun serio motivo di accusarvi; ma, anche se aveste migliaia di accusatori, nessuno potrà ricacciarvi nell’ombra. E il termine luce è ben scelto; infatti, nulla mette tanto in luce un uomo, anche se volesse passare del tutto inosservato, quanto lo splendore della virtù. Si direbbe che egli è rivestito dei raggi del sole, ma è ancor più splendente, poiché, invece di dirigere i suoi raggi verso la terra, egli attraversa persino il cielo.

(Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 15,6-7).

La verità interiore

La vita interiore ci rivela i nostri limiti e le nostre negatività. È ricerca di luce ed esperienza di illuminazione, ma dove la luce splende nel fondo delle tenebre. È necessario toccare questo fondo buio di sé per conoscere la luce. Uno splendido racconto mistico musulmano (di Suhrawardî), in forma di dialogo, dice:
– O sapiente, dove si trova la fonte della vita?
– Nelle tenebre. Se vuoi partire alla ricerca di questa fonte, mettiti i sandali e avanza nel cammino dell’abbandono confidente, finché arriverai alla regione delle tenebre.
– Da che parte si trova il sentiero per questa regione?
– Da qualunque parte tu vada, se sei un vero pellegrino, tu compirai il viaggio.
– Che cosa segnala la regione delle tenebre?
– L’oscurità di cui si prende coscienza. Quando colui che intraprende questo cammino vede se stesso come uno che è nelle tenebre, allora comprende che egli era anche prima e fino allora nella Notte, e che la luce del Giorno non ha ancora raggiunto il suo sguardo. Ec-colo, il primo passo dei veri pellegrini. Il cercatore della fonte della vita nelle tenebre passa attraverso ogni sorta di stupori e angosce. Ma se è degno di trovare questa fonte, finalmente dopo le tenebre contemplerà la luce. Allora non dovrà fuggire davanti alla luce, perché questa luce è uno splendore che, dall’alto dei cieli scende sulla fonte della luce (Cf. H. Corbin, «L’Archange empourpré: récit mystique de Sohrawardî», in Hermès 1 (1963), p. 21).
È la luce della notte, delle tenebre, è la vita trovata là dove muore qualcosa, è il cammino della vita interiore, il descensus ad cor che porta a vedere le proprie tenebre, ad accettare le proprie limitatezze e a integrarle in un’esperienza di pacificazione e di unificazione.
Chi vede la propria ignoranza e la conosce può entrare nella vera sapienza; chi vede i limiti della propria mortalità e temporalità può entrare nella vita; chi vede i propri limiti affettivi può entrare nell’autenticità dell’amore. Chi non accetta di vedere i propri limiti non potrà neppure iniziare a superarli o meglio, forse, a traversarli. Allora, questa illuminazione che viene dalla conoscenza delle proprie tenebre appare chiaramente come esperienza di resurrezione: se toccare il fondo del proprio cuore è esperienza di morte, la luce che si intravede è ingresso in una nuova vita. Allora si disvela l’uomo interiore (2Cor 4,16; Rm 7,22; Ef 3,16 e 1Pt 3,4 che parla dell’«uomo nascosto del cuore» là dove la Bibbia CEI traduce «l’in-terno del vostro cuore»), ovverosia una vita interiore che dà forza, unificazione pace, serenità, anche nel declinare delle forze e nell’andare verso la morte. Si sia credenti o no, se questa vita interiore è presente, forse si potrà fare della morte un compimento, non una fine. E si potrà dare vita alla propria vita.

(Luciano MANICARDI, La vita interiore oggi. Emergenza di un tema e sue ambiguità, Magnano, Qiqajon, 1999, 25-26).