Maria, il futuro che noi aspettiamo

Maria ha detto a Dio il sì più bello e più grande; nessuno, più di lei, ha aperto a Dio la porta del cuore; nessuno più di Maria continua a spendersi totalmente per la realizzazione dei disegno di salvezza, che è la passione di Dio verso l’umanità. Per questo Maria continua a parlarci per orientarci a Gesù.
La Madonna nel corso dei secoli ha fatto sentire la sua “maternità attiva”. E’ un fatto commovente! Ed è in perfetta linea con lo stile di Dio, che gioisce quando qualcuno si sintonizza sui suoi sentimenti e collabora con il suo progetto di recupero dell’umanità: un progetto che è ancora in pieno svolgimento.
Maria ricorda bene che Gesù le ha affidato il discepolo Giovanni e, in lui, tutta l’umanità: Maria passa il suo cielo facendo la Madre! Per questo tutte le apparizioni di Maria non aggiungono nulla al Vangelo, ma soltanto lo richiamano: Maria, come una buona mamma, prende la penna del cuore e sottolinea alcune frasi di Gesù per imprimerle nuovamente nella nostra memoria. Maria non fa altro che ripeterci quanto disse alle nozze di Cana: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).
E qual è il criterio con cui Maria continua a parlarci? Lo svela nel suo Magnificat. Rispondendo alle parole di saluto di Elisabetta, Maria esclama con disarmante lealtà: “Elisabetta, io sono felice nel Signore e lodo con tutta l’anima Dio, mio Salvatore. Perché lui ha rivolto il suo sguardo sulla piccolezza della sua serva. Lui ha fatto tutto, mentre io mi sono abbandonata alle sue mani. Per questo Maria può cantare ancora: “Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umi-li” (Lc 1,51-52). Maria fa suo lo stile di Dio: anch’ella posa lo sguardo sulle persone umili e ripete: ” Ricordatevi quanto è scritto nel Vangelo, perché vi rivela quali sono le scelte e le preferenze di Dio. Ricordatevi le parole di Gesù: “Beati sono i poveri nel cuore, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). La Madonna ci ricorda che Dio sta spingendo la storia verso il trionfo finale degli umili e dei poveri. E continua a parlarci tra le lacrime del dolore, tra le gioie degli affetti veri e puliti, tra le fatiche del lavoro quotidiano; Maria continua a parlarci per orientarci a Gesù. Ella infatti ha un solo nome da dire: Gesù! Ella ha una sola certezza da proporre: Gesù! Ella ha un solo segreto da svelarci: Gesù! Gesù è la stra-da da percorrere ed è anche la meta da raggiungere. Gesù è Dio che si è fatto vicino, ma è anche Dio da cercare ogni giorno.
E Maria cammina tra le onde delle Ave Maria che si rincorrono da un capo all’altro del-la terra e spinge le nostre fragili vele verso l’approdo della pace, al di là delle guerre, al di là delle lacrime e al di là della morte. Sì, perché l’ultima parola sarà la Vita: la Vita eterna condivisa con Dio, oceano inesauribile e instancabile della gioia vera, la gioia che tutti cerchiamo! E Maria ci sarà accanto: accenderà tutte le lampade della festa, assicurandoci che non ci sarà mai più una carestia di felicità, ci presenterà i santi del cielo e tutto sembrerà un sogno a occhi aperti: un sogno diventato vita, una vita diventata sogno!
Maria assunta in cielo, noi stiamo ancora faticando sulle strade del mondo e sentiamo l’affanno e le insidie del viaggio. Prendici per mano e mentre camminiamo parlaci del cielo e metti le ali al nostro cuore, affinché vinciamo il peso di ogni peccato. Prega per noi il Padre delle misericordie, perché tocchi i nostri cuori induriti, pieghi le volontà ribelli, ci scuota dal torpore spirituale, ci converta al suo amore fedele.
Maria assunta in cielo, il più bello della vita deve ancora venire, perché la risurrezione di Gesù è un seme divino gettato dentro di noi: un giorno trasformerà il nostro corpo e lo renderà libero da ogni connivenza col male. Libera il mondo intero dal flagello della guerra, ottieni all’umanità la sospirata pace e l’universale fraternità.
Maria, assunta in cielo, tu sei il futuro che noi aspettiamo! La tua carne materna è stata raggiunta dalla potenza del tuo figlio risorto e sei entrata nella festa dei redenti. Ora sei la madre che aspetta i figli nel tanto atteso abbraccio di Dio.
Donna del nostro futuro, inizia il futuro quaggiù! Amen.

(Angelo COMASTRI, L’angelo mi disse. Autobiografia di Maria, Milano, San Paolo, 2007).

La tristezza è parte integrante del destino dell’uomo

La tristezza è una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita, in ogni suo momento tu hai la percezione di qualcosa che ancora ti manca; la tristezza è un’assenza sofferta. Che cosa rende buona la tristezza? Riconoscerla come strumento significativo del disegno di Dio. Il disegno di Dio implica questo: che la vita sia sempre, in qualsiasi caso… soggetta alla percezione di qualcosa che manca. Ed è provvidenziale questo…
Che la vita sia triste è l’argomento più affascinante per farci capire che il nostro destino è qualcosa di più grande, è il mistero più grande. E quando questo mistero ci viene incontro diventando un uomo, allora questo fascino diventa cento volte più grande. Non ti toglie la tristezza, perché il modo con cui Dio diventa uomo è tale che l’hai senza averlo, l’hai già e non l’hai ancora… Non lo vediamo – io non vedo Lui come vedo te – , so che Lui è qui perché ci sei tu, perché ci siamo noi…
La tristezza è la condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perché l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli può bastare.
La tristezza è parte integrante, non della natura del destino dell’uomo, ma dell’esistenza dell’uomo, cioè del cammino al destino, ed è presente ad ogni passo. Quanto più questo passo è bello per te, quanto più è incantevole per te, quanto più è tuo, tanto più capisci che ti manca quello che più aspetti.

da Luigi Giussani, Si può vivere così?, p. 338

Il pane che ci unisce

Nello spezzare il pane insieme noi affermiamo la nostra condizione spezzata, anziché negare la sua realtà. Diventiamo più consapevoli che mai di essere presi, messi a parte co-me testimoni di Dio; di essere benedetti dalle parole e dagli atti della grazia; di essere spezzati, non per vendetta o per crudeltà, ma al fine di diventare un pane che può essere dato come cibo agli altri. Quando due, tre, dieci, cento o mille persone mangiano unite alla vita spezzata e versata di Cristo, esse scoprono che la loro stessa vita è parte di quell’unica vita e si riconoscono così a vicenda come fratelli e sorelle.
Vi sono pochi luoghi rimasti al mondo dove la nostra comune umanità può essere ele-vata e celebrata, ma ogni volta che ci riuniamo attorno ai semplici segni del pane e del vino noi abbattiamo molti muri e cogliamo un barlume delle intenzioni di Dio per la famiglia umana. E ogni volta che questo accade, siamo chiamati a preoccuparci maggiormente non soltanto del benessere dell’altro, ma anche del benessere di tutti nel mondo. Lo spezzare il pane dunque… ci mette in contatto con coloro il cui corpo e la cui mente è stata spezzata dall’oppressione e dalla tortura e la cui vita viene distrutta nelle prigioni di questo mondo. Ci mette in contatto con gli uomini, le donne e i bambini la cui bellezza fisica, mentale e spirituale rimane invisibile a causa della mancanza di cibo e di riparo…
Queste relazioni ci rendono davvero «uniti nel pane» e ci sfidano a operare con tutte le nostre energie per il pane quotidiano di tutti. In questo modo il nostro pregare insieme di-venta un appello all’azione.

(Henri J.M. NOUWEN, Compassion, in ID., La sola cosa necessaria Vivere una vita di preghie-ra, Brescia, Queriniana, 2002, 197-198).

Non ci stanchiamo di pregare il Signore

Non ci stanchiamo di pregare il Signore, noi tutti che siamo ancora in balia delle passioni: per questa via dell’orazione passarono tutti coloro che dalla passionalità giunsero all’impassibilità. Quando è parecchio tempo che preghi non dire: non ho guadagnato nulla! Perché hai guadagnato abbastanza: qual dono più sublime che aderire al Signore e perseverare con lui in questa adesione continuamente?… L’amore del soldato verso il re lo mostra il tempo della guerra: l’amore del monaco verso Dio lo prova il tempo dell’orazione e il rimanere alla sua presenza. La tua orazione ti rivelerà il tuo stato: essa è chiamata dai teologi lo specchio del monaco… Chi possiede il Signore non si prefigge più determinate formule nella sua orazione perché allora c’è lo Spirito in lui che intercede per lui con gemiti inenarrabili.

Giovanni Climaco, Scala, 28,4

Quel lievito di un pane che non finisce

La moltiplicazione dei pani è qualcosa di così importante da essere l’unico miracolo presente in tutti e quattro i Vangeli. Più che un miracolo è un segno, fessura di mistero, segnale decisivo per capire Gesù: Lui ha pane per tutti, lui fa’ vivere! Lo fa’ offrendo ciò che nutre le profondità della vita, alimentando la vita con gesti e parole che guariscono dal male, dal disamore, che accarezzano e confortano, ma poi incalzano.
Cinquemila uomini, e attorno è primavera; sul monte, simbolo del luogo dove Dio nella Bibbia si rivela; un ragazzo, non ancora un uomo, che ha pani d’orzo, il pane nuovo, fatto con il primo cereale che matura. Un giovane uomo, nuovo anche nella sua generosità. Nessuno gli chiede nulla e lui mette tutto a disposizione; è poca cosa ma è tutto ciò che ha. Poteva giustificarsi: che cosa sono cinque pani per cinquemila persone? Sono meno di niente, inutile sprecarli. Invece mette a disposizione quello che ha, senza pensare se sia molto o se sia poco. È tutto! Ed ecco che per una misteriosa regola divina quando il mio pane diventa il nostro pane, si moltiplica. Ecco che poco pane condiviso fra tutti diventa sufficiente. C’è tanto di quel pane sulla terra, tanto di quel cibo, che a non sprecarlo e a condividerlo basterebbe per tutti. E invece tutti ad accumulare e nessuno a distribuire! Perché manca il lievito evangelico. Il cristiano è chiamato a fornire al mondo lievito più che pane (de Unamuno): ideali, motivazioni per agire, sogni grandi che convochino verso un altro mondo possibile. Alla tavola dell’umanità il cristianesimo non assicura maggiori beni economici, ma un lievito di generosità e di condivisione, come promessa e progetto di giustizia per i poveri.
Il Vangelo non punta a realizzare una moltiplicazione di beni materiali, ma a dare un senso a quei beni: essi sono sacramenti di gioia e comunione. Giovanni riassume l’agire di Gesù in tre verbi: «Prese il pane, rese grazie e distribuì». Tre verbi che, se li adottiamo, possono fare di ogni vita un Vangelo: accogliere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose, le accogliamo in dono e in prestito. Se ci consideriamo padroni assoluti siamo portati a farne ciò che vogliamo, a profanare le cose. Invece l’aria, l’acqua, la terra, il pane, tutto quello che ci circonda non è nostro, sono “fratelli e sorelle minori” da custodire. Il Vangelo non parla di moltiplicazione, ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E mentre lo distribuivano non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano restava in ogni mano. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e ba-sta. Ci sono, quando a vincere è la legge della generosità.

(Ermes Ronchi)