Ognuno di noi è un originale fatto da Dio

C’è una vecchia trazione giudeo-cristiana secondo la quale Dio manda ognuno di noi in questo mondo con un messaggio speciale da consegnare, con uno speciale atto d’amore da compiere. Il tuo messaggio e il tuo atto d’amore sono affidati soltanto a te, il mio è affidato soltanto a me. Se questo messaggio debba raggiungere solo poche persone o tutti gli abitanti di una città o il mondo intero dipende esclusivamente dalla scelta di Dio. L’unica cosa importante è essere convinti che ognuno di noi è adeguatamente equipaggiato: tu hai i doni giusti per consegnate il tuo messaggio ed io ho i doni appositamente scelti per consegnare il mio.
Un aspetto particolare della verità di Dio è stato messo nelle tue mani, e Dio ti ha chiesto di condividerlo con ognuno di noi, e lo stesso vale per me. Proprio perché tu sei unico, la tua verità è data soltanto a te e nessun altro può dire al mondo la tua verità, o compiere per gli altri il tuo atto d’amore. Solo tu hai tutti i requisiti per essere e fare ciò che devi essere e fare. Solo io ho tutto ciò che è necessario per portare a termine il compito per cui sono stato inviato in questo mondo.
Sarebbe inutile e anche sciocco confrontare me stesso con te. Ognuno di noi è unico, non esistono fotocopie o cloni di nessuno di noi. Un simile confronto significherebbe la morte dell’accettazione di sé. Guarda la tua mano: le dita non sono di uguale lunghezza. Se lo fossero, tu non potresti di fatto afferrare una mazza da baseball o lavorare ai ferri. Allo stesso modo, alcuni sono alti e altri bassi, alcuni hanno un talento e altri un dono di-verso. Tu sei fatto su misura per realizzare il tuo compito, e così tu non sei me e io non sono te. E questo è bene, è meraviglioso. Noi dobbiamo non solo accettare, ma anche esaltare le nostre differenze. Il mondo custodisce gelosamente gli originali, e ognuno di noi è un originale fatto da Dio.

(J. POWELL, Esercizi di felicità, Cantalupa, Effatà, 1995, 23-24).

I discepoli partono due a due, non soli

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli… Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. L’ha fatto con Abramo da Ur dei Caldei (alzati e va’); con il popolo in Egitto (lo condurrai fuori, nel deserto…); con il profeta Giona (alzati e va’ a Ninive); con Israele or-mai installato al sicuro nella terra promessa.
Dio viene a snidarti dalla vita stanca, dalla vita seduta; mette in moto pensieri nuovi, ti fa scoprire orizzonti che non conoscevi. Dio mette in cammino. E camminare è un atto di libertà e di creazione, un atto di speranza e di conoscenza: è andare incontro a se stessi, scoprirsi mentre si scopre il mondo, un viaggio verso un altro mondo possibile.
Partono i discepoli a due a due. E non ad uno ad uno. Il loro primo annuncio non è trasmesso da parole, ma dall’eloquenza del camminare insieme, per la stessa meta. E or-dinò loro di non prendere nient’altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere il passo e un amico a sorreggere il cuore.
Un elogio della leggerezza quanto mai attuale: per camminare bisogna eliminare il superfluo e andare leggeri. Né pane né sacca né denaro, senza cose, senza neppure il necessario, solo pura umanità, contestando radicalmente il mondo delle cose e del denaro, dell’accumulo e dell’apparire. Per annunciare un mondo altro, in cui la forza risiede nella creatività dell’umano: «l’annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo così l’annuncio sarà infinitamente grande» (G. Vannucci).
Entrati in una casa lì rimanete. Il punto di approdo è la casa, il luogo dove la vita nasce ed è più vera. Il Vangelo deve essere significativo nella casa, nei giorni delle lacrime e in quelli della festa, quando il figlio se ne va, quando l’anziano perde il senno o la salute… Entrare in casa altrui comporta percepire il mondo con altri colori, profumi, sapori, mettersi nei panni degli altri, mettere al centro non le idee ma le persone, il vivo dei volti, la-sciarsi raggiungere dal dolore e dalla gioia contagiosa della carne.
Se in qualche luogo non vi ascoltassero, andatevene, al rifiuto i discepoli non oppongono risentimenti, solo un po’ di polvere scossa dai sandali: c’è un’altra casa poco più avanti, un altro villaggio, un altro cuore. All’angolo di ogni strada, l’infinito.
Gesù ci vuole tutti nomadi d’amore, gente che non confida nel conto in banca o nel mattone, ma nel tesoro disseminato in tutti i paesi e città: mani e sorrisi che aprono porte e ristorano cuori. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Dio chiama e mette in viaggio per guarire la vita, per farti guaritore del disamore, laboratorio di nuova umanità.
(Ermes Ronchi)

Mastica il nome di Gesù

Disse abba Poemen: “Una volta ero seduto con alcuni fratelli presso abba Macario e gli dissi: ‘Padre mio, quale opera dovrà fare l’uomo per acquistare la vita?’. L’anziano mi disse: ‘Nella mia infanzia, a casa di mio padre, notavo che sia le donne anziane che le giovani avevano qualcosa in bocca, della gomma da masticare per addolcire la saliva e il cattivo odore, ed essa, inoltre, nutriva e rinfrescava il fegato e tutte le viscere. Se questa cosa carnale dà dolcezza a quanti la tengono in bocca e la masticano, quanto più il nutrimento di vita [cf. Gv 6,35], la fonte della salvezza, la fonte delle acque della vita [cf. Ap 21,6], la dolcezza di tutte le dolcezza, nostro Signore Gesù Cristo. I demoni come sentono il suo Nome glorioso e benedetto sulle nostre bocche si dileguano come fumo [cf. Sal 36,20]. Se restiamo saldi in questo Nome benedetto, se lo ruminiamo, esso ci rivela le profondità del cuore che guidano l’anima e il corpo e scaccia ogni pensiero malvagio dall’anima immortale, le rivela le cose celesti, soprattutto colui che è nei cieli, il nostro Signore Gesù Cristo, re dei re, Signore dei Signori [Ap 19,16] che dona ricompense celesti a quanti lo cercano con tutto il cuore”. Qando abba Poemen udì queste parole da colui del quale Cristo aveva reso testimonianza dicendo: “Macario il giusto si è presentato oggi davanti al mio tribunale”, [lui e i suoi compagni] si gettarono ai suoi piedi piangendo e quando Macario ebbe pregato su di loro li congedò rendendo gloria al Signore Gesù Cristo.

Detto 13 delle “Virtù di Macario”

Varcare a proprio rischio il gran mare dell’esistenza

«Va bene, allora,» disse Simmia. «Comincerò io a dirti i miei dubbi e Cebete, poi, ti dirà quello che non approva di quanto è stato detto. Mi sembra, Socrate, e forse sarai anche tu del mio parere, che essere così sicuri su certe questioni, sia una cosa impossibile o, per lo meno, molto difficile, almeno in questa vita; d’altronde, io penso che il non esaminare da un punto di vista critico le cose che si son dette, il lasciar perdere il problema, prima di averlo indagato sotto ogni aspetto, sia proprio dell’uomo dappoco; quindi, in casi simili, non c’è altro da fare: o imparare da altri, come stanno le cose, o trovare da sé, oppure, se questo è impossibile, accettare l’opinione degli uomini, la migliore s’intende, e la meno confutabile e con essa, come su di una zattera, varcare a proprio rischio il gran mare dell’esistenza, a meno che uno non abbia la possibilità di far la traversata con più sicurezza e con minor rischio su una barca più solida, cioè con l’aiuto di una rivelazione divina. Ecco perché io, ora, non mi faccio scrupolo di interrogarti, dal momento che anche tu insisti e d’altra parte non voglio che, un domani, io debba rammaricarmi di non averti detto quello che oggi penso. Infatti, Socrate, ripensando tra me e poi anche con Cebete, alle questioni discusse, non mi sembra che siano molto chiare».

(Socrate, Fedone, XXXVII)

Il profeta

Il profeta incontra l’indifferenza, la diffidenza e il rigetto, ma la sua missione non di-pende dall’audience, bensì dalla fedeltà alla parola di Colui che l’ha inviato. Ezechiele è mandato a un popolo ribelle ed egli dovrà svolgere la sua missione “ascoltino o non ascoltino”. La sua sola presenza e la sua parola scomoda saranno segno della premura di Dio che ha inviato un profeta al suo popolo (I lettura). Gesù, nella sua patria, conosce l’incredulità dei suoi concittadini e formula il detto: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (vangelo). Il vangelo apre uno squarcio sulla disillusione (“si meravigliava della loro incredulità”) che Gesù deve aver provato nei confronti dell’ambiente che l’ha visto crescere: la conoscenza alla maniera umana, “secondo la carne” (2Cor 5,16), diviene chiusura nei confronti dell’inviato di Dio. Per incontrare Gesù, o lasciarsene incontrare, occorre il salto della fede, il rischio della fede. Forse Gesù si meraviglia perché questa conoscenza è totalmente non dialogica: non domanda nulla, non chiede, non parla, ma giudica e rifiuta a priori, e, mentre rende Gesù oggetto di scandalo, impedisce di accedere allo straordinario che Dio può compiere in lui.
La conoscenza dell’altro non può essere fossilizzata e ingessata: l’identità di una persona è in divenire, e conoscere significa essere aperto al novum, alla sorpresa. Soprattutto quando si tratta di conoscere quel mistero inesauribile che è una persona. Nei confronti di Gesù la pur indiscutibile conoscenza delle sue origini conduce i suoi concittadini a non cogliere la sua identità profonda: essi lo omologano a loro stessi, lo riducono alla loro misura e alla loro statura. Ma l’altro è sempre più grande della conoscenza che ne abbiamo. La conoscenza che gli abitanti di Nazaret hanno di Gesù diviene inciampo, trappola, “scandalo” che impedisce la fecondità dell’incontro: “Si scandalizzavano di lui”. Questo scandalo, per cui Gesù appare come sapiente misconosciuto (Mc 6,2), come profeta di-sprezzato (Mc 6,5) e come medico ridotto all’impotenza (Mc 6,5), non riguarda però solo i contemporanei di Gesù, ma trova una sua rinnovata versione anche riguardo alla conoscenza di Gesù oggi. E in profondità svela la difficoltà a credere radicalmente e autenticamente il vangelo, perché solo confessando Gesù quale Signore lo si incontra anche come medico, sapiente e profeta. Medico ridotto all’impotenza. Se la fede viene ridotta a strumento di soddisfazione del bisogno umano, essa può conoscere una deriva tecnicistica e taumaturgica che la piega alla misura del destinatario il quale non compie più il movimento salvifico di apertura al mistero di Dio in Cristo. Allora la guarigione non è più segno di una salvezza escatologica, ma la salvezza diviene metafora di guarigione, essendo questa l’unica cosa sentita come importante. È la fede ridotta a farmaco, a psicoterapia o addirittura a magia. Profeta disprezzato.
La parola profetica è disprezzata quando viene usata da un’ideologia, asservita a interessi di parte. Se Gesù parla di disprezzo del profeta nella sua patria, oggi la parola profetica è disprezzata e privata dalla sua valenza escatologica se non si asservisce alla patria, se non accetta di servire da collante nazionale, se non si fa distributore di valori etici. Se non si piega ancillarmente a una parola penultima.
Sapiente misconosciuto. Ovvero la riduzione del sapere dell’altro al mio sapere. L’intolleranza verso una sapienza altra è l’intolleranza verso la legittima e necessaria pluralità di sapienze, di ermeneutiche del reale, di sensi cercati e assegnati al vivere. La sapienza che è Gesù il Signore non si identifica con una filosofia o cultura, ma è realtà trans-culturale che orienta l’umano. Come Gesù è stato ridotto all’impotenza da coloro che affermavano di conoscerlo meglio, così la fede può oggi essere resa insignificante proprio da coloro che pretendono di farsene paladini e difensori, ma in realtà la riducono alle proprie visioni del mondo e non accettano di lasciarsene mettere in discussione.

(Luciano Manicardi)