Il Mistero che è in noi

L’immagine non è veramente immagine se non possiede tutti gli attributi del suo modello. La caratteristica della divinità è di essere ineffabile: anche questo l’immagine deve esprimerlo. Se l’essenza dell’immagine si potesse comprenderla, mentre il suo modello sfugge ad ogni comprensione, una tale differenza la annullerebbe in quanto immagine. Ma se noi non arriviamo a definire la natura della nostra comprensione spirituale, proprio ad immagine del nostro Creatore significa allora che noi portiamo l’impronta dell’inafferrabile divinità, del mistero che è in noi

Gregorio di Nissa, Della creazione dell’uomo,11

Giovanni, il Battista, dono di Dio

Per Elisabetta si compì il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengo¬no alla luce come compimento di un progetto, vengono da Dio. Caduti da una stella nelle braccia della madre, portano con sé scintille d’infinito: gioia (e i vicini si rallegravano con la madre) e parola di Dio. Non nascono per caso, ma per profezia. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appartiene ad una storia più gran¬de, che i figli non sono nostri: appartengono a Dio, a se stessi, alla loro vocazione, al mondo. Il genitore è solo l’arco che scocca la freccia, per farla volare lontano. Il passaggio tra i due testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al tempio e al sacerdozio, si sta in¬tessendo nel ventre di due madri. Dio traccia la sua sto¬ria sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle istituzioni.
Un rivoluzionario rovesciamento delle parti, il sacerdote tace ed è la donna a prendere la parola: si chiamerà Giovanni, che in ebraico significa: dono di Dio. Elisabetta ha capito che la vita, l’amore che sente fremere dentro di sé, sono un pezzetto di Dio. Che l’identità del suo bambino è di essere dono. E questa è anche l’identità profonda di noi tutti: il no-me di ogni bambino è «dono perfetto».
Stava la parola murata dentro, fino a quando la donna fu madre e la casa, casa di profeti.
Zaccaria era rimasto muto perché non aveva creduto al¬l’annuncio dell’angelo. Ha chiuso l’orecchio del cuore e da allora ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Indicazione che mi fa pensoso: quando noi credenti, noi preti, smarriamo il riferimento alla Parola di Dio e alla vita, diventiamo afoni, insignificanti, non mandiamo più nessun messaggio a nessuno. Eppure il dubitare del vecchio sacerdote non ferma l’azione di Dio. Qualcosa di grande e di consolante: i miei difetti, la mia poca fede non arre-stano il fiume di Dio.
Zaccaria incide il nome del figlio: «Dono-di-Dio», e subito riprende a fiorire la parola e benediceva Dio. Benedire subito, dire-bene come il Creatore all’origine ( crescete e moltiplicatevi): la benedizione è una energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall’alto, ci raggiunge, ci avvolge, e ci fa vivere la vita come un debito d’amore che si estingue solo ridonando vita.
Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, da¬vanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere do¬no che viene dall’alto? Cosa porterà al mondo? Un dono unico e irriducibile: lo spazio della sua gioia; e la profezia di una parola unica che Dio ha pronunciato e che non ripeterà mai più (Vannucci). Sarà «voce», proprio come il Batti¬sta, la Parola sarà un Altro.
(Ermes Ronchi)

Non possono più tollerare la noia

Società manageriali i cui abitanti, ben nutriti, ben vestiti, vedono soddisfatti i loro desideri e non hanno desideri che possono essere soddisfatti, automi che seguono senza essere forzati, che sono guidati senza capi… Questa alienazione ed automatizzazione portano a pazzia sempre crescente. La vita non ha significato, non c’è gioia, né fede, né realtà. Ognuno è “felice”,  solamente non sente, non ragiona, non ama…. Il pericolo del passato era che gli uomini diventassero schiavi. Il pericolo del futuro è che gli uomini possano diventare robots. È vero che i robots non si ribellano. Ma, data la natura dell’uomo, i robots non possono vivere e star sani, distruggeranno se stessi ed il loro mondo perché non possono più tollerare la noia di un vita priva di significato.

(Erich Fromm, psicanalista, Essere o avere?)

Dio, seminatore che non si stanca mai di noi

Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. L’infinito di Dio raccontato da un minuscolo seme, il futuro nella freschezza di un germoglio di senape. Accade nel Regno di Dio come quando un uomo semina. Il Regno accade perché Dio è l’instancabile seminatore, che non è stanco di noi, che ogni giorno esce a immettere nell’universo le sue energie in forme seminali, germinali, come un nuovo giardino dell’Eden che sta a noi custodire e coltivare. E nessun uomo o donna che siano privi dei suoi germi di vita, nessuno troppo lontano dalla sua mano.
Che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Gesù sottolinea un miracolo infinito di cui non ci stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Qui affonda la radice della grande fiducia di chi crede: le cose di Dio, l’intera creazione, il bene crescono e fioriscono per una misteriosa forza interna, che è da Dio. Nonostante le nostre resistenze e distrazioni, nel mondo e nel cuore il seme di Dio germoglia e si arrampica verso la luce.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà. Senza voli retorici: il granello non salverà il mondo. Noi non salveremo il mondo. Ma, dice Gesù, gli uccelli verranno e vi faranno il nido. All’ombra del tuo albero grande accorreranno in molti, all’ombra della tua vita verranno per riprendere fiato, trovare ristoro, fare il nido: immagine della vita che riparte e vince. «Se tu hai aiutato anche uno solo a stare un po’ meglio, la tua vita si è realizzata» (Papa Francesco).
La parabola del granello di senape racconta la preferenza di Dio per i mezzi poveri; dice che il suo Regno cresce per la misteriosa forza segreta delle cose buone, per l’energia propria della bellezza, della tenerezza, della verità, della bontà. Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti seminiamo buon grano; noi come campo di Dio continuiamo ad accogliere e custodire i semi dello Spirito, nonostante l’imperversare di tutti gli erodi dentro e fuori di noi. Un seme deposto dal vento nelle fenditure di una muraglia è capace di viverci; è capace, con la punta fragilissima del suo germoglio, di aprirsi una strada nel duro dell’asfalto. Gesù sa di aver immesso nel mondo un germe di bontà divina che, con il suo assedio dolce e implacabile, spezzerà la crosta arida di tutte le epoche, per riportarvi sentori di primavera, di vita fiorita, di mietiture. Tutta la nostra fiducia è in questo: Dio è all’opera in seno alla storia e in me, in alto silenzio e con piccole cose.

(Ermes Ronchi)

L’uomo sorpassa la natura

L’uomo che, tra gli esseri, non conta nulla,
che è polvere, erba, vanità,
una volta che è adottato
dal Dio dell’universo come figlio,
diventa familiare di questo essere,
la cui eccellenza e grandezza
nessuno può vedere,
ascoltare o comprendere.
Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito
Si potrà esaltare la sovrabbondanza
di questa grazia?
L’uomo sorpassa la sua natura:
da mortale diventa immortale,
da perituro imperituro,
da effimero eterno,
da uomo diventa dio.

San Gregorio di Nissa,
Disc. Sulla VII Beatitudine